Per la prima volta le ho sognate insieme, M., la prima, e Lei, l’ultima.
Mi trovavo in una sontuosa villa dall’architettura classica, affacciata su un lago. Non ero solo, ma con un gruppo di persone, del quale facevano parte anche loro. La loro presenza mi tormentava, mi addolorava, perché non potevo avvicinarle, non potevo parlare con loro, come desideravo con tutto me stesso. Temevo di disturbarle, di infastidirle, di contrariarle. Insomma, anche nel sogno ero ciò che sono sempre stato nelle loro vite: un intruso. Quando le ho viste aprire un grande e vecchio portone di legno e sparire dentro, la mia sofferenza ha raggiunto il culmine. Era come se le avessi perdute per sempre. Le ho ritrovate poco dopo, su un grande schermo. Recitavano entrambe nella scena finale di un film. Al termine della proiezione mi sono coperto il volto con entrambe le mani e sono scoppiato a piangere. Era come se le avessi viste recitare nell’ultimo atto del mio dramma. Nella realtà non ho mai provato una commozione così forte e profonda.
A proposito di Lei, dovrei finalmente trovare la forza e il coraggio di riprendere in mano il nostro carteggio, al quale non mi avvicino da più di un anno, e metterlo a posto, riordinarlo, magari persino stamparlo, perché, nonostante il dolore e la delusione feroce, le nostre lettere compongono un volume che nella mia vita, nella mia storia, non è meno importante dei Fratelli Karamazov. E I fratelli Karamazov sono la cosa più importante.